Controlli e liti

Le movimentazioni sui conti dei familiari diventano ricavi

di Angelo Busani

I versamenti effettuati sul conto corrente bancario intestato al lavoratore autonomo oppure ai suoi stretti familiari si presumono come ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività libero professionale a meno che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni che hanno concorso a formare il suo reddito imponibile oppure fornisca la prova analitica dell’estraneità di dette movimentazioni all’esercizio della sua attività professionale.

Lo afferma la Cassazione nell’ordinanza n. 32427 dell’11 dicembre 2019, con riferimento a un avviso di accertamento di maggior reddito notificato a un avvocato, osservando che l’articolo 32 del Dpr 600/1973, dispone una presunzione legale, con riferimento ai versamenti effettuati sul conto corrente del lavoratore autonomo, nel senso che questi ha l’onere di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili. Una presunzione analoga è statuita, in materia di Iva, dall’articolo 51 del Dpr 633/1972.

Questo principio, secondo la Cassazione, deve applicarsi anche alle movimentazioni effettuate sui conti correnti intestati a soggetti che siano in rapporto di stretta contiguità familiare con il contribuente, essendovi, in tal caso, una probabilità particolarmente elevata che le movimentazioni sui conti bancari dei familiari del professionista possano essere riferibili al contribuente sottoposto a verifica.

Infatti, lo stretto rapporto familiare è un fattore sufficiente a giustificare, salva la prova contraria, la riconducibilità al contribuente sottoposto a verifica delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari dei suoi familiari, cosicché, in assenza di prova di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti correnti, idonee a giustificare i versamenti e i prelievi riscontrati, si forma la prova presuntiva a sostegno della pretesa fiscale, con conseguente ribaltamento dell’onere della prova contraria sul contribuente.

In sostanza, all’amministrazione è sufficiente offrire al giudice l’evidenza che, sul conto corrente del familiare del contribuente sottoposto a verifica, ci sono movimentazioni non giustificate dall’attività del titolare del conto. A questo punto si trasferisce al contribuente l’onere di provare che del versamento ricevuto (sul proprio conto corrente o sul conto del familiare) si è tenuto il debito conto nella dichiarazione dei redditi oppure che non se ne doveva tener conto in quanto si tratta di un’entrata che non rappresenta un reddito tassabile.

A quest’ultimo riguardo, occorre che venga indicata e dimostrata dal contribuente la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti ricevuti, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni rilevata sia estranea a fatti imponibili. A sua volta, secondo la Cassazione , il giudice di merito è tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di merito in quanto il giudizio di ragionevolezza della riconducibilità del fatto certo a quello incerto.

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