Adempimenti

Il censimento dell’RW duplica lo scambio di informazioni

di Oliviero Cimaz e Marco Piazza

Nonostante la riforma introdotta con la legge europea del 2013 per soddisfare le richieste di semplificazione degli obblighi dichiarativi nel quadro RW a suo tempo formulate dalla Commissione europea (caso Eu Pilot 1711/11/Taxu), la normativa italiana vigente presenta tuttora notevoli complessità rispetto alle esigenze di accertamento dei redditi prodotti all’estero.

L’eliminazione dal quadro RW dei trasferimenti da, verso e sull’estero, e degli investimenti detenuti «al termine del periodo d’imposta», è stata infatti accompagnata dall’obbligo di individuare quelle detenute «nel periodo d’imposta», il che comporta un nuovo e gravoso adempimento essendo ora necessario determinare e valorizzare, anche in apposito prospetto da conservare, il “periodo di possesso” di ogni singola attività detenuta.

Ciò spiega perché il contribuente debba spesso rivolgersi a professionisti con adeguate conoscenze e strutture informatiche, con i relativi costi in aggiunta a quelli già richiesti dalle banche estere per predisporre i report fiscali, e spiega anche perché i professionisti spesso suggeriscono di affidare le attività estere a intermediari italiani, ad esempio società fiduciarie, sostenendo peraltro le relative spese.

La Commissione per l’esame di compatibilità delle norme italiane con il diritto Ue della Aidc di Milano ha presentato una denuncia (la 14) alla Commissione europea rilevando che gli adempimenti richiesti dalla legge, e oggetto di chiarimenti da parte dell’amministrazione finanziaria anche nell’ambito delle istruzioni alla compilazione delle dichiarazioni, si pongono in contrasto con i principi più volte affermati dalla Corte di giustizia, in particolare con il principio di libera circolazione dei capitali di cui all’articolo 63, paragrafo 1 del Tfue, il quale vieta le misure idonee a dissuadere dal compiere investimenti all’estero.

Pur considerando l’esigenza di assicurare l’accertamento di violazioni tributarie, le misure adottate nei singoli Stati non debbono infatti superare quanto è necessario per raggiungere tali obiettivi (sentenza C-326/12, punto 39 e giurisprudenza ivi citata), così come impone il principio di proporzionalità (sentenze C-155/08 e C-157/08, punto 47; C-334/02, punto 23).

Il quadro RW, almeno nella forma complessa attualmente in vigore, appare invece in conflitto con il Trattato soprattutto per ciò che riguarda le attività detenute in Stati Ue, e non appare giustificata l’imposizione del livello di dettaglio eccessivo imposto delle relative regole di compilazione.

Le esigenze di controllo fiscale sono del resto oggi soddisfatte dallo scambio automatico d’informazioni (Crs a cui, secondo le rilevazioni Ocse, partecipano oltre cento giurisdizioni, incluse molte tra quelle tradizionalmente ritenute come meno cooperative). Vi è dunque da chiedersi se i complessi obblighi richiesti dal quadro RW non siano in contrasto con il principio di proporzionalità, a maggior ragione ove tali informazioni siano destinate a duplicarsi con quelle già disponibili attraverso lo scambio con le amministrazioni estere.

Anche le sanzioni (variabili dal 3% al 15%) non appaiono proporzionate in quanto si applicano sul capitale detenuto all’estero e a prescindere dai redditi conseguiti (presuntivamente determinati al tasso ufficiale di riferimento), la cui omessa dichiarazione comporta un’ulteriore ed autonoma sanzione.

Per i Paesi black list, inoltre, il capitale stesso si considera sottratto ad imposizione, e vengono raddoppiate le sanzioni e i termini per l’accertamento; ciò peraltro, secondo la giurisprudenza Ue, dovrebbe valere soltanto qualora le autorità tributarie non dispongano di alcun indizio tale da consentire l’avvio di un’indagine, con esclusione pertanto degli Stati che partecipano allo scambio di informazioni.

Per porre rimedio alle criticità e ai profili di incompatibilità comunitaria dell’attuale impianto del modello RW occorrerebbe perciò eliminare del tutto tale obbligo, o circoscriverlo semmai ai soli Stati che non partecipano allo scambio di informazioni con l’Italia, limitando comunque tale adempimento ai soli dati necessari per liquidare l’imposta sulle attività finanziarie detenute all’estero (Ivafe). È oltretutto evidente che gli obblighi dichiarativi del “monitoraggio fiscale” si palesano inefficaci proprio nei confronti dei contribuenti che non intendono pagare le imposte dovute, e tantomeno si “autodenunciano” compilando il quadro RW. La compilazione del quadro RW, nonostante le gravose sanzioni, non sembra del resto aver prodotto in passato gli attesi effetti deterrenti alla luce dell’ampia adesione dei contribuenti ai provvedimenti in tema di voluntary disclosure volti all’emersione delle attività estere, a cui lo scambio di informazioni viceversa contribuisce in modo significativo.


LA DENUNCIA AIDC N. 14

Fiscalità diretta

Illegittimità comunitaria della disciplina sugli obblighi di dichiarazione annuale per gli investimenti e le attività detenute all'estero «monitoraggio fiscale» (come prevista dall'articolo 4 del Dl 167 del 1990 e successive modificazioni)

12 dicembre 2019
a cura dei relatori Oliviero Cimaz e Marco Piazza

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