Imposte

La nota di variazione risolve l’assenza dell’identificativo Iva

di Benedetto Santacroce

In caso di cessione intracomunitaria la mancata comunicazione del numero di identificazione Iva da parte del cessionario unionale al momento della partenza dei beni impedisce al cedente di emettere la fattura senza imposta. Analoga conseguenza si determina nel caso in cui l’acquirente abbia richiesto alla propria amministrazione il rilascio del suddetto codice, ma, al momento dell’effettuazione della cessione, per motivi istruttori, non disponga di tale identificativo. In entrambi i casi se l’acquirente dimostra di essere, dal momento di effettuazione della cessione, un soggetto passivo potrà richiedere al cedente una nota di variazione. Questi sono alcuni dei chiarimenti forniti dalla Commissione Europea nelle note esplicative (approvate definitivamente il 29 dicembre e in buona parte condivise dal Comitato Iva) in relazione alla nuova natura sostanziale del codice identificativo introdotta dal 1° gennaio 2020 dalla direttiva 2018/1910/UE.

Dal 2020 il codice identificativo Iva del cessionario comunitario è un elemento necessario per consentire al cedente, identificato in un altro Stato membro di emettere una fattura di cessione intracomunitaria senza applicazione d’imposta. Pertanto, dal 1° gennaio le fatture del cedente devono riportare il numero identificativo del cessionario identificato in altro Stato membro. Il primo profilo interessante interpretato dalla Commissione è che tale numero deve essere indicato (o meglio comunicato) dal cessionario. Come questa comunicazione debba avvenire non è stabilito dalla normativa unionale. In effetti, non risulta necessaria una comunicazione formale. In pratica, tale comunicazione può avvenire in qualsiasi modo anche con una semplice email. A dire il vero la norma non prevede una vera e propria comunicazione: pertanto, il solo fatto che il cedente inserisca il codice identificativo in fattura determina una presunta comunicazione sufficiente a superare il vincolo normativo. È chiaro, però, che l’assenza della comunicazione ha delle conseguenze se il cedente non è in grado di individuare tale codice ovvero se il codice indicato non è corretto. In questo caso il cedente è costretto a emettere la fattura con Iva dello Stato di cessione. Invero, la Commissione sottolinea che tale situazione non inficia la gestione dell’acquisto intracomunitario se l’acquirente è in grado di dimostrare alla propria amministrazione che lo stesso possedeva al momento di effettuazione della cessione un codice identificativo valido. In questo caso, l’acquirente opererebbe la liquidazione dell’Iva nello Stato membro di destinazione dei beni e il cedente dovrebbe provvedere a emettere una nota di variazione per modificare il regime della cessione intracomunitaria.

Una domanda che si poneva era comprendere cosa sarebbe successo se il cessionario avesse già richiesto il codice identificativo ma lo Stato membro richiesto non lo aveva ancora rilasciato al momento dell’effettuazione. Alla domanda la Commissione Europea risponde che la cessione deve essere tassata direttamente nello Stato membro del cedente non essendosi realizzata al momento dell’effettuazione della cessione una delle condizioni essenziali previste dall’articolo 138 della direttiva Iva. In questo caso, dunque, rispetto al passato in cui il codice identificativo aveva natura solo formale, l’effetto che si determina è il venir meno del regime non imponibile dell’operazione. Anche in questo caso, la Commissione Europea ammette, però, che, dopo aver ricevuto il numero identificativo Iva unionale, l’acquirente, essendo dal momento di presentazione dell’istanza di attribuzione del codice un soggetto d’imposta, potrà richiedere al cedente l’emissione di una nota di variazione per modificare il trattamento Iva dell’operazione.

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