Contabilità

Due quinti di quote rosa nei cda Rebus sul numero di mandati

di Angelo Busani

Non c’è pace sulle quote rosa. Sembra non funzionare, a una prima lettura, la nuova normativa in tema di presenza garantita del «genere meno rappresentato» negli organi di amministrazione e controllo delle società quotate, ispirato al principio secondo cui, in tale contesto, occorre perseguire un obiettivo di «equilibrio tra i generi».

L’ambito normativo (gli articoli 147-ter, comma 1-ter, e 148, comma 1-bis, del D lgs 58/1998, il cosiddetto Tuf) ha avuto un movimentato fine 2019:

a) la legge di conversione 157/2019 del Dl 124/2019 (articolo 58-sexies), ha modificato – con vigore dal 25 dicembre 2019 – i predetti commi del Tuf allungando da tre a sei mandati consecutivi la vigenza della normativa in base alla quale gli statuti delle società in questione devono contenere la previsione delle quote rosa (infatti, quando la normativa in tema venne introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 120/2011, nota come legge Golfo-Mosca, se ne stabilì la vigenza all’incirca per nove anni, con l’obiettivo che il sistema digerisse questo principio e che, dopo alcuni anni di acquisita abitudine, l’equilibrio dei generi divenisse un fatto scontato senza più dover essere imposto per legge);

b) senonché, con i commi 302-304 dell’articolo 1 della legge 160/2019, in vigore dal 1° gennaio 2020, è stato disposto che, confermandosi la vigenza della normativa sulle quote rosa per sei (e non più per tre) mandati consecutivi:

quanto alla composizione dei consigli di amministrazione, «il genere meno rappresentato deve ottenere almeno due quinti degli amministratori eletti» (la norma previgente sanciva, invece, che il genere meno rappresentato dovesse ottenere «almeno un terzo degli amministratori eletti»);

quanto alla composizione dei collegi sindacali, «il genere meno rappresentato ottenga almeno due quinti dei membri effettivi del collegio sindacale» (precedentemente era disposto che al genere meno rappresentato fosse riservato «almeno un terzo dei membri effettivi del collegio sindacale»);

il nuovo criterio di riparto di almeno due quinti «si applica a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e controllo delle società quotate in mercati regolamentati successivo alla data di entrata in vigore della presente legge» (pertanto, le società i cui organi scadano, nella primavera 2020, con l’approvazione del bilancio 2019, devono preordinarsi per modificare i propri statuti e per indire elezioni dei propri organi secondo queste nuove norme).

A parte il tema di capire se i «sei mandati» prescritti dalla nuova normativa siano i tre mandati finora trascorsi (dal 2013 al 2019) con la quota di genere fissata a un terzo sommati ai tre mandati che cominciano nel 2020 oppure se si tratti di sei mandati tutti caratterizzati dalla vigenza della quota garantita di almeno i due quinti, appare esservi un serio problema nell’applicazione della nuova quota di due quinti.

Si pensi, ad esempio, al collegio sindacale. Se si tratta di un collegio di cinque sindaci effettivi, non si presentano problemi sulla composizione del collegio in quanto, sia che si applichi la quota di 1/3, sia che si applichi la quota di 2/5, i sindaci del genere protetto sono sempre due.

Senonché, chi presenta la lista di maggioranza non può più candidare, come prima accadeva, solo 3 persone (in quanto, in tal caso, vi sarebbe un genere che non raggiunge i 2/5) ma deve candidarne almeno 4. Identicamente, la lista di minoranza non può più contenere un solo nominativo, ma deve contemplare almeno 2 candidati.

Maggiori problemi si pongono se il collegio sindacale è composto da tre sindaci effettivi: se i 2/5 devono appartenere al genere meno rappresentato, qualunque composizione il collegio abbia (due maschi, una femmina; due femmine, un maschio), il genere solitario non integra la quota di 2/5.

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