Imposte

Vendite a catena, nuove regole Ue con applicazione «chirurgica»

di Matteo Balzanelli, Massimo Sirri e Riccardo Zavatta

Dal 1° gennaio è in vigore l’articolo 36-bis della direttiva 2006/112, introdotto per omogeneizzare la disciplina delle vendite a catena (cessioni successive di beni – almeno due – a fronte di un unico trasporto intracomunitario dallo Stato membro del primo cedente a quello del cliente finale). La norma sta creando incertezza, come testimonia il lavoro della Commissione Ue per definire le note esplicative.

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L’articolo 36-bis è inserito fra le regole che disciplinano il luogo delle operazioni e non, come inizialmente previsto dalla proposta di modifica, fra le disposizioni d’esenzione/non imponibilità. Ciò significa che le norme sulle cessioni intracomunitarie – comprese quelle per le triangolazioni comunitarie – non sono direttamente interessate.

L’articolo 36-bis, in effetti, serve solo a stabilire a quale operazione della catena è imputabile il trasporto intraUe. In tal modo, sarà individuata anche la cessione intracomunitaria, con l’ulteriore conseguenza che le altre operazioni della catena «dovrebbero» (così le premesse della direttiva 2018/1910 che ha introdotto la norma) essere soggette a imposizione.

La norma, inoltre, si applica “chirurgicamente”, cioè solo se si verificano le condizioni per la sua applicabilità. Vediamole.

Per prima cosa, va stabilito se c’è un “operatore intermedio”. In base al terzo paragrafo della norma, è tale un cedente (diverso dal primo della catena) che spedisce o trasporta i beni – direttamente o tramite terzi – dallo Stato di partenza a quello di arrivo (le note esplicative contengono rilevanti precisazioni, come osserva la circolare Assonime 29/2019). In una vendita a tre, perciò, solo il secondo operatore può essere l’intermedio: il primo cedente è escluso per definizione, mentre il terzo non rivende a nessuno.

Quando c’è l’operatore intermedio, si applicano i primi due paragrafi dell’articolo 36-bis. Per il paragrafo 1, il trasporto intracomunitario è quello nei confronti dell’operatore intermedio. In una vendita a catena con lo schema It-Fr1-Fr2, quindi, la cessione intraUe è quella It-Fr1. La vendita Fr1-Fr2 non è intracomunitaria, ma interna al territorio francese. Ricordiamo che la norma non si applica se sono coinvolte importazioni/esportazioni o si tratta di tutte vendite interne a un singolo Stato membro.

Il paragrafo 2 opera in deroga alla regola generale del paragrafo 1. Infatti, se l’operatore intermedio ha una partita Iva nello Stato membro del primo cedente e decide di fornire tale identificativo al proprio fornitore, il trasporto intracomunitario è imputato alla vendita effettuata dall’operatore intermedio. Nell’esempio, se Fr1 ha una partita Iva in Italia e la comunica a It, il trasporto intracomunitario, cui si associa la cessione intraUe, è imputato alla vendita Fr1-Fr2 (eseguita da Fr1 usando la posizione Iva in Italia). La vendita che precede (It-Fr1) è una cessione interna allo Stato italiano.

Può sembrare che con l’articolo 36-bis “saltino” le triangolari nazionali (articoli 58 e 41, Dl 331/93). Il dubbio riguarda il caso in cui, nella cessione It1-It2-Fr, il trasporto sia eseguito da It2 (così come ammesso dalla recente giurisprudenza). Per il paragrafo 1 della norma, infatti, la cessione intracomunitaria sarebbe It1-It2, cioè quella verso l’operatore intermedio, con obbligo per quest’ultimo di avere una posizione Iva in Francia per realizzare l’acquisto intracomunitario. Ma così non è. It2, infatti, è “naturalmente” dotato di partita Iva nello Stato del primo cedente (perché è ivi stabilito) e la comunicazione a It1 di tale numero qualifica come intracomunitaria la cessione It2-Fr (com’è sempre stato), ai sensi del paragrafo 2. La nuova regola è rispettata, perché l’altra vendita (It1-It2) non è intracomunitaria, ma interna, per quanto non imponibile.

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