Contabilità

Crisi d’impresa, la prevenzione passa anche dai big data

di Pierpaolo Ceroli e Agnese Menghi


Se il principio cardine su cui si fondano gli indicatori della crisi (articolo 13 Dlgs 14/2019) è quello di individuare gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti, c’è da chiedersi quali saranno gli strumenti di allerta più idonei per monitorare che ciò non avvenga.

Infatti, se è vero come è vero che uno squilibrio finanziario costituisce un probabile rischio di crisi, è altrettanto vero che un disequilibrio economico non determina necessariamente una simile situazione, così come la produzione di risultati netti positivi non è condizione sufficiente per escluderne la presenza.

Pertanto, l’applicazione asettica di alcuni indici «standard» potrebbe condurre a erronei risultati, cd. falsi positivi, come pure l’utilizzo di quelli che misurano la sostenibilità degli oneri di indebitamento con i flussi di cassa che l’imprenditore è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi.

Rientrano poi, nell’ambito degli strumenti di allerta, anche gli obblighi di segnalazione posti a carico degli organi societari (articolo 14) e dei creditori pubblici qualificati (articolo 15), nonché gli obblighi organizzativi di cui l’imprenditore deve dotarsi (articolo 2086 del Codice civile).

Da quanto precede si evince come la strumentazione «standard» per anticipare la crisi nell’area cd. twilight zone a fronte di un monitoraggio interno nella fase soft limit, prima che la crisi/dissesto si manifesti nella zona hard limit con la conseguenza che la situazione è rilevabile anche dall’esterno, potrebbe non essere sufficiente a svolgere quella funzione preventiva a cui è preposta.

Non a caso i tradizionali sistemi finanziari di misurazione delle prestazioni, «avallati» dal nuovo Codice della crisi, e di monitoraggio delle strategie dell’impresa si rivelano sempre più inadeguati a rappresentare in modo corretto la capacità di generare valore nell’attuale scenario, in quanto si basano su indicatori solo di carattere economico finanziario.

Appare quindi evidente, in un’ottica di prevenzione della crisi, avvalersi di strumenti quali la Balanced Scorecard (Bsc) «scheda di valutazione bilanciata», ossia quello strumento di sorveglianza strategica che si pone l’obiettivo di tradurre le strategie competitive in indicatori di performance (scorecard) assicurando l’equilibrio (balance) tra le prestazioni di breve termine, misurate attraverso parametri di natura finanziaria, e quei fattori non finanziari che dovrebbero condurre l’impresa a prestazioni competitive superiori e sostenibili nel tempo.

La Bsc, per superare i limiti dei modelli tradizionali, è costituita da una struttura mista e articolata di lag indicator, indicatori di risultato o della performance passata, e lead indicator, driver della performance futura, in quanto contempla le seguenti quattro prospettive bilanciate: economico-finanziaria, clienti, processi interni e crescita e apprendimento.

L’altro strumento sono i Kpi, acronimo di Key Performance Indicators o indicatori chiave di prestazione, che identifica tutti gli indicatori utilizzabili per monitorare l’andamento delle prestazioni di un’azienda e dei suoi processi.

Il loro scopo è quello di valutare il progredire dell’azienda verso i propri obiettivi di business e di marketing con la caratteristica che i Kpi sono diversi per ogni impresa, sebbene possano essere simili per lo stesso settore di attività, e di numero variabile, in quanto legati agli obiettivi della singola azienda.

Ne consegue che le società che si avvalgono di tecnologie di Business Intelligence (Bi), analizzando una grande mole di dati, cd. Big data, possono tradurli in informazioni utili per l’elaborazione di profittevoli strategie aziendali che trovano espressione grazie alla Bsc e al dashboard («cruscotto») aziendale ossia quel sistema di visualizzazione delle informazioni caratterizzato da facilità di lettura e immediatezza. Pertanto, ogni azienda, piccola o grande, dovrebbe dotarsene, considerato che il «cruscotto» permette un monitoraggio costante mediante una visione grafica e realtime degli indicatori di allerta, e quindi di performance (Kpi), consentendo al management e agli organi di controllo societari di agire tempestivamente e correttamente nel prevenire la crisi, grazie ai due fattori chiave: disponibilità delle informazioni e rapidità del processo decisionale.

Nell’ambito del nuovo Codice della crisi di impresa (Dlgs 14/2019) desta non più di una perplessità il mancato ricorso degli strumenti sopra delineati soprattutto in virtù di una visione prospettica, i quali, però, potrebbero avere un grande appeal qualora l’azienda derogherà (articolo 13, comma 3) gli indicatori «standard» della crisi, elaborati dal Cndcec e approvati dal Mise.

Per approfondire: Indicatori di allerta standard e personalizzati, a cura di Pierpaolo Ceroli, Agnese Menghi e Giovanni Borroni, in edicola e on line

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