Contabilità

Fallimento, bocciata l’attribuzione agli arbitri dell’azione di responsabilità

di Giovanbattista Tona

Se la società fallisce, l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori può essere esercitata solo dal curatore che cumulerà sia l’azione sociale di responsabilità sia quella dei creditori.

Il principio è stato di recente ribadito dal Presidente del Tribunale di Roma con decreto del 9 dicembre 2019 per dichiarare l’inoperatività della clausola compromissoria inserita nello statuto di una società, frattanto dichiarata fallita, che stabiliva che tutte le controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci o contro di loro connesse con il rapporto sociale sarebbero stato deferite ad un collegio arbitrale.

Il curatore fallimentare di quella società aveva chiesto la nomina del collegio arbitrale, deducendo di voler promuovere l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ai sensi dell’articolo 146 legge fallimentare. Ma il presidente del Tribunale ha ritenuto manifestamente inesistente la convenzione di arbitrato.

Creditori non legittimati

La responsabilità degli amministratori verso la società e verso i soci è di natura contrattuale, è disciplinata rispettivamente dagli articoli 2932 e 2932bis del Codice civile e sulla relativa azione lo statuto può prevedere il deferimento ad arbitri.

Ma in base all’articolo 2934 del Codice civile gli amministratori rispondono per l’inosservanza degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale anche nei confronti dei creditori sociali; tale responsabilità ha natura extracontrattuale e può essere fatta valere quando il patrimonio sociale è insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.

Già la sezione specializzata in materia di imprese del Tribunale di Napoli con sentenza del 2 aprile 2019 aveva chiarito che, dopo il fallimento di una società, al curatore è riservata la legittimazione esclusiva all’esercizio delle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, quale che sia la sua origine, contrattuale o extracontrattuale.

Esse hanno la funzione di tutelare al contempo sia il patrimonio sociale sia la massa dei creditori e questi interessi, dopo il fallimento, convergono in maniera unitaria e inscindibile in capo al curatore.

Per questo i giudici napoletani avevano escluso che potesse permanere alcuna legittimazione, anche solo residuale, in capo al singolo creditore che avesse proposto l’azione di responsabilità prima della dichiarazione di fallimento; avevano persino escluso che il creditore sociale potesse invocare una sorta di legittimazione sostitutiva, nel caso in cui il curatore fosse rimasto inerte e non avesse a sua volta proposto un’azione di responsabilità.

Ora il Tribunale di Roma ha affermato che l’effetto dell’inscindibilità delle azioni in capo al curatore è anche quello di rendere inoperante qualsiasi clausola compromissoria.

E questo ovviamente varrà sia per le azioni nei confronti degli amministratori sia per quelle eventuali da attivare nei confronti di tutti gli altri organi sociali.

L’esclusione dal passivo

Ma, il curatore, come può far valere la responsabilità degli organi di controllo societari per l’inadempimento dei loro obblighi di vigilanza?

La Cassazione ha affermato che i sindaci rispondono per non avere ostacolato condotte gestionali pregiudizievoli degli amministratori, salvo che non vi sia prova della esclusiva efficienza causale delle scelte di questi ultimi rispetto al danno accertato sul patrimonio (ordinanza n. 3779 dell'8 febbraio 2019).

I giudici di merito hanno pure affermato che l’inadempimento degli obblighi contrattuali può essere fatto valere autonomamente dal curatore nei confronti dei componenti del collegio sindacale, per escludere che siano ammessi al passivo per i crediti derivanti dai loro compensi.

Il Tribunale di Rimini, con sentenza del 18 novembre 2019, ha stabilito che costituisce inadempimento di non scarsa importanza il comportamento del sindaco, il quale, essendo a conoscenza di una condizione di grave insolvenza della società, si limiti a formulare richieste di informazioni agli amministratori ed a intimare genericamente di prendere iniziative, ma non avvii tempestivamente il procedimento di denunzia delle irregolarità al tribunale ai sensi dell’articolo 2409 del Codice civile.

Una così grave violazione degli obblighi di controllo e di reazione, secondo il Tribunale di Rimini, costituisce inadempimento idoneo a fondare anche la risoluzione del rapporto. Non solo per escludere il credito per i compensi non riscossi dal passivo del fallimento, ma anche per ripetere i pagamenti già ricevuti.

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