Contabilità

I giudici sdoganano la società che fa da amministratore

di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

Il tema dei compensi agli amministratori – siano essi correnti o sotto forma di accantonamenti di fine mandato – si ripresenta ciclicamente nella giurisprudenza e nelle interpretazioni ufficiali. Ci sono elementi ormai consolidati (si vedano le schede in alto) che riguardano il percorso logico che le società devono seguire per non incappare in contestazioni:
quantificazione in una delibera di un compenso in misura congrua;
quantificazione di un eventuale trattamento di fine mandato (Tfm) prima dell’accettazione della carica;
rispetto delle regole procedurali che assicurino la tassazione separata del Tfm in capo al percettore e la deduzione per competenza dell’accantonamento alla società.

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A questi aspetti si affianca un altro tema interessante, che riguarda l’ipotesi in cui la funzione di amministrazione è affidata a un’altra società, la quale a sua volta si avvale di un proprio amministratore o dipendente. Si pensi ad esempio a una Srl Beta che affida la propria amministrazione alla società Alfa, la quale designa un proprio amministratore a svolgere questa funzione.

Ormai non vi dovrebbero essere dubbi sulla liceità di questa scelta: basti ricordare la massima n. 100 del 18 maggio 2007 del Consiglio notarile di Milano (legittimità della clausola statutaria che prevede la possibilità di nominare alla carica di amministratore una o più persone giuridiche) e la sentenza 3545/2017 del Tribunale di Milano, in cui si è riconosciuta la liceità nelle Srl della nomina ad amministratore di un’altra società di capitali che esercita le funzioni mediante la nomina di un rappresentante.

Per quanto riguarda il profilo tributario, segnaliamo i contenuti della risposta a un recente interpello (Direzione regionale della Lombardia, interpello 956-688_689/2018).

In linea generale, i compensi che vengono pagati dalla società Beta alla società Alfa dovrebbero rappresentare corrispettivi per servizi in regime di impresa, e quindi sarebbero fiscalmente rilevanti per competenza (ai fini della deduzione in capo a Beta e della tassazione in capo ad Alfa). La società amministratrice (Alfa) avrebbe poi l’onere di remunerare il proprio amministratore anche per le funzioni svolte in Beta, seguendo la disciplina ordinaria dei compensi agli amministratori, nonché i propri soci secondo le regole per i dividendi.

Nella risposta all’interpello 956-688_689/2018 la Dre della Lombardia si esprime circa la problematica dell’interposizione fittizia ai fini delle imposte sui redditi (articolo 37, comma 3, del Dpr 600/73).

Le considerazioni del Fisco sono ovviamente da calare nella realtà dello specifico caso rappresentato, in cui la società Alfa ha come unica attività l’amministrazione di Beta. L’oggetto dell’indagine deve riguardare le funzioni effettivamente svolte dalla società Alfa: in particolare, occorre verificare se questa svolge una funzione ulteriore rispetto all’amministrazione di Beta (che potrebbe essere svolta dalla persona fisica amministratore di Alfa). Nel caso di specie, in cui non si ritiene esistente una diversificazione («alterità») tra i due soggetti (Alfa e il suo amministratore), la Dre conclude che «nel delineato contesto emerge l’utilizzo della forma giuridica collettiva societaria ai fini dell’esercizio della medesima attività» e pertanto:
1. il compenso spettante alla società Alfa costituisce reddito di impresa;
2. tale compenso, al netto di eventuali oneri di gestione, deve essere riversato da Alfa al proprio amministratore, al netto delle spese ordinarie di gestione della società, in modo che la stessa Alfa non consegua redditi imponibili («l’ammontare di queste ultime prestazioni sarà commisurato in modo che, dedotte le spese ordinarie di gestione della società, la stessa non consegua alcun reddito imponibile, non avendo come già sopra riferito alcuna struttura autonomamente idonea a produrre redditi»).

Viene così sterilizzata la presenza del soggetto interposto (Alfa), pur confermando la possibilità per la società di dedurre i costi inerenti la sua attività.

Ovviamente, letta a contrariis, la risposta consente di escludere il problema dell’interposizione fittizia nel caso di diversificazione e organizzazione sostanziale dell’attività svolta dalla società: si pensi, come esempio, alle società che professionalmente gestiscono l’amministrazione di una pluralità di altri soggetti, magari utilizzando diverse figure della propria organizzazione.

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