Contabilità

Il monitoraggio è già patrimonio della buona azienda

di Franco Roscini Vitali

Imprese e professionisti si stanno confrontando con le nuove disposizioni sulla crisi d’impresa. Tuttavia, non si tratta sempre di novità, perché il Dlgs 14/2019, titolato «Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza» in molti casi codifica comportamenti che già dovrebbero essere patrimonio di imprese e professionisti.

Non costituisce una novità il dovere per l’imprenditore, che opera in forma societaria o collettiva, di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa.

Da notare che la norma precisa “anche” ai fini della rilevazione della crisi, confermando implicitamente che l’imprenditore già qualcosa dovrebbe avere istituito: ed è così, tanto è vero che l’articolo 2403 del Codice civile prevede, da tempo, l’obbligo in capo al collegio sindacale di vigilare anche sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. Tuttavia, non è la presenza o meno del collegio sindacale che impone questo, ma lo richiede la corretta gestione dell’impresa.

In sostanza, la corretta gestione dell’impresa e il relativo monitoraggio non sono imposte da situazioni patologiche, ma devono garantire il buon funzionamento. Per quanto riguarda, poi, il problema della continuità aziendale, è sufficiente leggere il principio di revisione Isa 570 che contiene, da anni, un’esemplificazione di eventi o circostanze che, considerati individualmente o nel loro complesso, possono far sorgere dubbi significativi.

Si tratta di indicatori finanziari, gestionali e altri: per esempio, quelli finanziari prevedono, tra l’altro, deficit patrimoniale, capitale circolante netto negativo, eccessiva dipendenza da prestiti a breve termine per finanziare attività a lungo termine, principali indici economico finanziari negativi.

L’articolo 13 del decreto prevede l’individuazione di indici che devono dare rilevanza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi. Gli indici devono essere in grado di misurare la sostenibilità degli oneri derivanti dall’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Anche in questo caso la previsione della stima dei flussi di cassa non sembra una novità.

La norma, poi, demanda l’elaborazione degli indici al Consiglio nazionale dei commercialisti ed esperti contabili, tenendo conto delle migliori prassi nazionali e internazionali, poi approvati con decreto del Mise. Sul punto, tuttavia, s’impone cautela perché l’applicazione degli indici deve avere alla base bilanci correttamente redatti: inoltre, dopo l’applicazione interviene l’interpretazione degli stessi.

Esistono poi aspetti dei quali i decreti attuativi dovrebbero occuparsi: per esempio, i rapporti tra impresa debitrice e creditori perché l’attivazione della procedura di allerta e la presentazione da parte del debitore dell’istanza di composizione assistita della crisi non costituiscono causa di risoluzione dei contratti. Per fare un esempio, potrebbe esistere il rischio di una restrizione dei crediti per molte imprese. Questo, ovviamente, vale anche per altri contratti stipulati dalle imprese debitrici.

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