Controlli e liti

Agenzia condannata per «lite temeraria» sulla comproprietà

di Alessandro Galimberti

Amministrazione finanziaria condannata per lite temeraria. È l’esito, non del tutto usuale, del contenzioso tra i comproprietari di un immobile di pregio in una zona turistica della provincia di Trapani e l’agenzia delle Entrate, contenzioso deciso dalla Ctp locale con sentenza (1227/03/19) depositata il 18 dicembre scorso.

La questione riguardava la (ri)qualificazione dei redditi e dell’attività esercitata sull’immobile in comunione, posto ai margini di una riserva naturalistica. Riqualificazione, appunto, perché gli avvisi di accertamento Iva e Irap relativi all’anno 2013 si innestavano su adempimenti già eseguiti e imposte già versate, quindi non in un ambito di ipotizzata evasione e/o di elusione fiscale.

Secondo la Guardia di finanza prima e la stessa Agenzia poi, i comproprietari del complesso monumentale non si erano limitati a godere dei frutti, diretti e indiretti, della comunione, ma avrebbero esercitato una vera e propria attività di impresa in forma societaria, consistita nel mettere a reddito l’immobile con un’operatività «che sembrerebbe improntata al fine di conseguire uno scopo commerciale e lucrativo».

La questione, in sostanza, si risolveva nella distinzione tra godimento del bene in comunione, anche sotto forma di frutti della locazione, ed esercizio di attività commerciale, in quanto l’agenzia delle Entrate ipotizzava che il godimento in comunione della dimora da parte dei proprietari nascondesse una società di fatto che gestisce un’attività commerciale alberghiera.

La Ctp di Trapani per dirimere la controversia riparte dalle definizioni codicistiche del contratto di società (art. 2247 del codice civile) e da quello di comunione (art. 2248) per individuarne le caratteristiche da applicare al caso concreto. Distinzione che non sta tanto nella produzione di utilità («frutti» piuttosto che «reddito» o anche «incremento del valore» dell’immobile) bensì nella funzionalizzazione, o meno, dei beni comuni all’attività stessa, circostanza che muterebbe la loro condizione giuridica e conseguentemente i poteri dei singoli comproprietari sui beni stessi. Indagine, questa, che né la Gdf né l’Ufficio hanno condotto né dimostrato, neppure sul versante dello scioglimento eventuale della comunione - e i suoi effetti - né sulla possibilità dei creditori di far valere, o meno, i loro diritti sul patrimonio sociale, e neppure sul regime dei creditori della comunione.

Particolarmente severa la Ctp si dimostra invece sull’«abuso del processo» da parte dell’Ufficio, che non aveva alcuna utilità a perseguire l’illecito contestato (avrebbe originato tra l’altro un differenziale negativo sull’imposta pagata). Per la Commissione locale si è trattato di «un’azione temeraria», quantomeno per colpa grave , che ha costretto i resistenti a stare in giudizio «con grave pregiudizio economico e morale». Da qui la liquidazione del danno (art. 96 c.p.p.) fissata in 3.500 euro a favore di ognuno dei ricorrenti/comproprietari, oltre al pagamento delle spese processuali a carico dell’Agenzia.

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