Controlli e liti

L’adeguamento agli studi di settore non è ritrattabile in giudizio

di Alessandro Borgoglio

La scelta discrezionale del contribuente di adeguarsi o meno agli studi di settore costituisce una precisa manifestazione di volontà e, quindi, in caso di adeguamento in sede di dichiarazione dei redditi, il contribuente non può poi impugnare la successiva cartella di pagamento, con la quale vengano chieste le somme dell’adeguamento, adducendo che quest’ultimo sia stato frutto di un errore. Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza 31237/2019.

È ormai consolidato il principio giurisprudenziale per cui, sebbene in via generale le denunce dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza, e possano quindi essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno il contribuente può nell’ambito della dichiarazione effettuare delle vere e proprie scelte, in conformità a quanto previsto dal legislatore, per esempio, per avvalersi di un beneficio fiscale, quale opporre in compensazione un credito di imposta: in tal caso la concessione del beneficio è subordinata ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall’Erario, che assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile, anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione finanziaria (Cassazione 883/2016 e 10239/2017).

In altri termini, l’emendabilità degli errori commessi nella dichiarazione fiscale deve circoscriversi all’indicazione di quei dati, relativi alla quantificazione delle poste reddituali positive o negative, che integrino errori tipicamente materiali (ad esempio errori di calcolo o anche di errata liquidazione degli importi), ovvero anche formali (concernenti l’esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale collocare la posta), rimanendo quindi a tali ipotesi estranea la fattispecie in cui il contribuente, con la stessa dichiarazione, abbia inteso esercitare una facoltà di opzione, riconosciutagli dalla norma tributaria, di volersi o meno uniformarsi agli studi di settore, da qualificarsi manifestazione di volontà negoziale.

Poiché eventuali errori della volontà espressa dal contribuente assumono rilevanza soltanto ove sussistano i requisiti di essenzialità e riconoscibilità ex articolo 1428 del Codice civile, norma che trova applicazione, ai sensi dell’articolo 1324 del Codice civile, anche agli atti negoziali unilaterali diretti ad un destinatario determinato, il contribuente, nel caso oggetto della sentenza qui commentata, avrebbe dovuto chiarire in che cosa fosse consistito l’errore intervenuto con la dichiarazione dei redditi, essendo suo onere fornire la prova della rilevanza dell’errore con riguardo ad entrambi i requisiti della essenzialità e della obiettiva riconoscibilità, da valutarsi secondo la diligenza propria che deve essere richiesta agli Uffici accertatori (Cassazione 7294/2012); invece, il contribuente si era limitato genericamente ad affermare che l’adeguamento agli studi di settore indicato nella dichiarazione dei redditi era stato frutto di un errore compiuto dall’intermediario incaricato della presentazione della stessa dichiarazione.

Da qui la bocciatura della Suprema corte del ricorso del contribuente e la conferma dell’operato del Fisco, che aveva recuperato le somme dovute a seguito di adeguamento, anche se poi il contribuente aveva invano cercato di ritrattare tale adeguamento in sede contenziosa.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©