Controlli e liti

Abuso del diritto, il Fisco inciampa sulle «alternative»

di Dario Deotto e Francesco Paolo Fabbri

L’anno appena concluso ha rappresentato il primo periodo in cui è entrata a regime la pubblicazione delle risposte agli interpelli e dei principi di diritto delle Entrate: la trasparenza e la pubblicità delle risposte sono state infatti introdotte nel nostro ordinamento negli ultimi mesi del 2018 (provvedimento 185630/2018). Particolare interesse assumono i responsi sull’abuso del diritto pubblicati nel 2019. Tuttavia, rispetto a quanto emerso nei primi pronunciamenti del 2017 (si vedano le risoluzioni 97/E e 98/E del luglio 2017) e, in parte del 2018 (risoluzione 40/E), alcuni dei pareri rilasciati lo scorso anno destano più di una perplessità.

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La stessa prassi dell’Agenzia inizialmente riportava come la nuova formulazione della normativa di contrasto all’elusione (articolo 10-bis dello Statuto del contribuente) imponesse un approccio teso a verificare la correttezza delle condotte in assenza di contrasto con le disposizioni normative impositive o con i principi generali dell’ordinamento tributario; in particolare, la valutazione di elusività dei comportamenti prospettati doveva essere effettuata senza fare riferimento a ipotetici tracciati negoziali alternativi, di fatto fiscalmente più onerosi. Al contrario, in più occasioni nel 2019, l’Agenzia ha riferito della necessità di confrontare i percorsi giuridici individuati dai contribuenti con altre forme ritenute “fisiologiche”, che implicavano – guarda caso – una tassazione più onerosa.

In alcuni casi – come nella risposta 341/2019 – si fa riferimento a «un numero superfluo di negozi giuridici, il cui perfezionamento non è coerente con le normali logiche di mercato, ma appare idoneo unicamente a far conseguire un vantaggio fiscale indebito». Con buona pace di quanto previsto dal comma 4 dell’articolo 10-bis a proposito della libertà di scelta del contribuente tra diversi regimi offerti dalla legge, con conseguente realizzazione del legittimo risparmio fiscale.

Simili indirizzi evidenziano – non senza destare più di una preoccupazione – una sorta di ritorno al passato. Questo nonostante la previsione dell’articolo 10-bis abbia voluto decisamente recidere il previgente indirizzo interpretativo, sorto all’epoca dell’articolo 37-bis del Dpr 600/1973, in base al quale il tema dell’elusione veniva affrontato con l’approccio “monodimensionale” secondo cui il contribuente, rispetto a un’operazione fiscalmente più onerosa, avrebbe potuto discostarsi solamente in presenza di valide ragioni economiche (oggi equivalenti, di fatto, a una non bene precisata sostanza economica).

Altrettanto preoccupante risulta la risposta all’interpello 469 del 7 novembre 2019. Al di là della particolarità del caso (uno dei contraenti era un fondo alternativo d’investimento di tipo chiuso), è stato affermato che il separato trasferimento di un immobile di un complesso aziendale allo stesso cessionario dell’azienda trasferita realizza ipotesi di abuso del diritto. Tutto ciò quando è evidente che il frazionamento dell’azienda non può che costituire, semmai, ipotesi riconducibile all’evasione.

Qualche segnale di ripensamento si riscontra comunque nell’ultima risposta emanata nel 2019 (la 537 del 24 dicembre), secondo cui il Fisco non può sostituire la fattispecie che le viene prospettata con altra conforme a logiche di mercato ma fiscalmente più onerosa. Rimane il dubbio che non dovrebbe essere il Fisco a valutare quando si è in presenza di «normali logiche di mercato», che è invece una valutazione che spetta soltanto all’imprenditore. Tuttavia, al netto di tale “invasione”, si tratta di un (fugace?) segnale di speranza e di rispetto verso le scelte imprenditoriali, e i diritti di quest’ultimi.

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