Imposte

Da Iva e sconti fiscali le risorse necessarie per riscrivere l’Irpef

di Marco Mobili e Gianni Trovati

Saranno il taglio a deduzioni e detrazioni fiscali e la rimodulazione dell’Iva a misurare le ambizioni della riforma fiscale che il governo ha annunciato di voler avviare con una legge delega entro il prossimo aprile. Da lì dovranno arrivare le risorse indispensabili per ridurre le aliquote e ripensare gli scaglioni di reddito: per una riforma che lasci un segno servono almeno 20 miliardi. Strutturali.

Di qui l’imperativo di rimettere mano ai due dossier che nella gestazione dell’ultima legge di bilancio sono stati bloccati dai «no» incrociati all’interno alla maggioranza. Contro la rimodulazione dell’Iva pensata al ministero dell’Economia per raccogliere almeno 5 miliardi si era scagliata in particolare Italia Viva; lo stop al riordino delle tax expenditures era stato più o meno corale, al punto che nel passaggio parlamentare della manovra le spese fiscali sono addirittura aumentate (di 5 miliardi) spingendo in fretta fuori scena l’obiettivo di un taglio da 10 miliardi ipotizzato a settembre.

Rispetto a pochi mesi fa ovviamente lo scenario cambia. Perché un conto è alzare il peso dell’Iva per far quadrare i saldi della manovra nella trattativa con Bruxelles, altra storia è tentare la stessa mossa per dare spazio a un abbattimento della pressione fiscale sui redditi. Questo, almeno, in teoria. Perché per passare ai fatti bisogna trovare un accordo solido all’interno della maggioranza. Perché senza un’intesa preventiva reale l’Irpef riprodurrebbe moltiplicato il balletto infinito che ha scandito le settimane della manovra su plastica, zucchero e auto aziendali. Quando in gioco c’erano poco più di due miliardi, cioè meno di un decimo dei valori che dovranno accompagnare la riforma Irpef.

A maggior ragione su un tema cruciale come l’imposta sui redditi, infatti, le ricette all’interno del governo sono tante. Forse troppe. Sul piano tecnico, il punto di partenza è rappresentato dalle ipotesi che Via XX Settembre aveva cominciato a elaborare già l’anno scorso, in vista di una manovra che però la crisi di governo ha affidato al Conte-2. Ma il cambio di maggioranza ha ovviamente allargato la platea di desideri e indirizzi politici sulla riforma.

Nel nome dei concetti di semplificazione, progressività ed equità rilanciati nei giorni scorsi dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, l’orientamento maggioritario all’interno del governo punta prima di tutto a una riduzione del numero di aliquote. I Cinque Stelle da tempo hanno elaborato una proposta che farebbe passare da cinque a tre gli scaglioni, accompagnando la nuova architettura con un ampliamento forte della no tax area e con l’introduzione del coefficiente famigliare.

L’accorpamento di aliquote è presente anche nelle proposte che si stanno studiando in casa Pd, dove l’attenzione è concentrata soprattutto sui primi due scaglioni. L’idea è quella di dire addio alle aliquote del 23 e del 27%, riunendo tutti i redditi più bassi all’interno di un prelievo unico. Idea ambiziosa, perché la piramide schiacciata dell’Irpef concentra proprio sui primi due gradini la maggioranza dei redditi italiani, e quindi dei costi di una revisione delle regole. Per finanziarli, all’interno del capitolo tax expenditures si guarda anche ai 10 miliardi abbondanti del bonus Renzi, e ai 5 miliardi già messi a bilancio sull’anno prossimo per il taglio al cuneo fiscale. Un’ipotesi che trasformerebbe in una parentesi di soli sei mesi l’intervento che si sta studiando in queste settimane sulle buste paga 2020.

Dal canto suo Italia Viva non nasconde ambizioni maggiori, che puntano a un ripensamento integrale dell’Irpef e della galassia di regimi speciali, cedolari, deduzioni e detrazioni che la circondano. Con i ritocchi continui a cui è stata sottoposta negli anni, è l’idea di fondo, l’Irpef non ha più una sua coerenza interna. E va riscritta da cima a fondo, con un’operazione complessiva che permetta anche di superare l’ipoteca annuale delle clausole Iva. Ma non nel senso indicato da Leu, che mostra di apprezzare l’ipotesi «tedesca» studiata nei mesi scorsi che moltiplica le aliquote per farle crescere passo passo insieme al reddito.

Tecnicamente non è la legge delega di aprile a dover dare tutte le risposte, perché l’incarico al governo potrebbe anche limitarsi a dettare gli indirizzi per la riforma da dettagliare nei decreti attuativi. Ma non è questa l’impostazione che oggi si ascolta nelle stanze del ministero dell’Economia. Perché il ricordo delle polemiche fiscali d’autunno è ancora fresco, e la strada per evitarle passa da una legge delega puntuale che indichi già numero di aliquote e caratteristiche fondamentali della nuova Irpef. A patto di mettersi d’accordo prima.

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